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Abitare nello spazio: se nel secolo scorso poteva sembrare fantascienza, negli anni 2000 questo scenario è diventato realtà. Tanto che chi ha compiuto 20 anni nel 2020 può affermare che per tutta la sua vita lo spazio è stato costantemente abitato da astronauti, senza neanche un giorno di pausa. Lo scorso 2 novembre infatti la Stazione Spaziale Internazionale ha festeggiato 20 anni di presenza umana nello spazio. Un traguardo che è giunto proprio nell’anno in cui il passaggio dall’orbita bassa all’orbita cislunare sta diventando concreto, rendendo sempre più vicino un altro grande sogno dell’esplorazione umana: abitare costantemente la Luna. «Nella storia dell’umanità - dice Gabriele Mascetti dell’Agenzia Spaziale Italiana - solo 12 uomini hanno messo piede sul nostro satellite. Adesso siamo in una fase storica: dopo 50 anni cui presidiamo la bassa orbita terrestre - 400 Km sopra di noi - con una serie di stazioni spaziali, l’ultima in orbita da più di 20 anni, l’uomo finalmente si sta orientando verso il ritorno sul nostro satellite. Con il programma Artemis, la Nasa in primis, ma anche i partner internazionale che la affiancano, intendono riportare l’uomo sulla Luna. Questo accadrà in due step. Una prima fase che viene chiamata ‘speed phase’, in cui gli americani intendono raggiungere l’obiettivo entro il 2024 di portare un uomo e la prima donna sul suolo lunare, e poi una fase cosiddetta di sostenibilità in cui si tenterà di dimostrare la capacità di sostenere la presenza di medio termine dell’uomo sulla superficie lunare». «Quale paese membro dell’Agenzia Spaziale Europea - continua Mascetti - siamo al fianco degli americani. L’Esa è un partner assolutamente solido della Nasa, ed è il partner di maggior peso per la realizzazione del Gateway, la prima stazione spaziale a non orbitare intorno alla Terra ma a un’orbita ben più distante, perché sarà in prossimità della Luna. E l’Italia è proprio il paese con l’impronta maggiore nell’ambito dell’Esa per la realizzazione del Gateway». Non solo. Sempre attraverso l’Agenzia spaziale europea, l’Italia darà un contributo fondamentale all’European Service Module di Orion, la navicella statunitense che porterà gli astronauti nello spazio profondo. «L’Italia realizza anche parte di questo modulo di servizio. Questi moduli sono expendable, ovvero ne viene realizzato uno per ogni Orion che viene lanciato. Ancora - questa volta in modo bilaterale - l’Italia è l’unico paese europeo che ha un cubesat a bordo della prima missione di Orion. Orion sarà lanciato nella sua versione unmanned, quindi senza astronauti a bordo, per un lancio di test che alla fine del 2021 farà una serie di orbite intorno alla Luna. In questa missione l’Italia avrà a bordo il cubesat Argomoon, che servirà a testare tecnologie di comunicazione in deep space e scatterà anche delle fotografie del modulo americano e della superficie lunare» spiega Mascetti. La nuova impresa dell’esplorazione umana dello spazio profondo, come dimostra il programma lunare Artemis, richiede una collaborazione internazionale senza precedenti. Per questo si sta costruendo un forum di coordinamento strategico tra agenzie spaziali, in modo da condividere e rendere coerenti gli obiettivi a medio e lungo termine, ma anche mettere a punto un programma internazionale di ricerca scientifica nel deep space. «L’Italia - dice Mascetti - da un punto di vista di ricerca è in prima fila. Ci si sta già attrezzando per definire un programma di early science, cioè di ricerca scientifica che si possa realizzare sul Gateway anche nelle fasi iniziali. Il fatto di avere una stazione in orbita cislunare, quindi in prossimità della Luna, offre un’occasione unica di effettuare ricerche per tutta la nostra comunità. L’Italia quindi sta già negoziando la possibilità di svolgere esperimenti nello spazio profondo. In questo momento a livello mondiale tra tutti i partner del Gateway sono stati identificati una decina di esperimenti, e tra questi ce n’è anche uno italiano. Si chiama In Situ, ed è un sistema assolutamente poco invasivo per l’analisi di alcuni parametri fisiologici dell’astronauta». E mentre università e spin off lavorano per preparare il futuro contributo scientifico dell’Italia a questa esplorazione spaziale 2.0, anche l’industria italiana è in prima linea e già svolge un ruolo di rilievo nel programma Artemis. «Noi abbiamo una filiera industriale completa - dice Roberto Formaro dell’Agenzia Spaziale Italiana. - L’Italia è capace di esprimere una filiera che va dalla parte operazioni, con un grande operatore satellitare, alla parte di robotica e infrastrutture, fino alla parte applicativa, cioè tutte le tecnologie che permettono di vivere in un ambiente spaziale, in questo caso su un satellite della Terra. Chiaramente è una filiera diversificata: abbiamo le grandi imprese, capaci di essere leader di una missione; abbiamo le cosiddette mid-caps, grandi abbastanza per sviluppare interi segmenti spaziali; e poi abbiamo le PMI, che sono in grado di fornire end-to-end dei sottosistemi anche per operatori internazionali. Tutte le nostre imprese si stanno muovendo, e in alcuni casi sono state contattate direttamente dagli operatori statunitensi. Tutto questo farà da traino per l’intera filiera, quindi per tutte le PMI italiane che avranno degli asset che possono proporre in questo ambito. Abbiamo fatto anche un webinar di recente, proprio per illustrare a tutta la filiera nazionale quali possono essere le opportunità». Negli Stati Uniti, la collaborazione tra pubblico e privato nel settore spaziale è ormai un dato di fatto, tanto che un’azienda come SpaceX ha potuto affiancare la Nasa nel lancio di astronauti verso la Iss - impresa che ha restituito all’America l’autonomia dalla Russia in materia di volo umano. Anche l’Italia sta andando in questa direzione, sviluppando a livello nazionale la cosiddetta new space economy. «L’Asi - spiega Formaro - è stata già un precursore in questo. Abbiamo avuto per esempio la ELV, nel nostro lanciatore europeo Vega; abbiamo e-Geos, che è un grande operatore per la vendita di dati satellitari. Da sempre l’Asi ha stimolato la realizzazione di imprese pubblico-private. Da qualche anno con la space economy, e anche con l’avvento sul mercato di nuovi operatori ma anche di nuove istituzioni interessate allo spazio, è nata la nuova linea della new space economy. Abbiamo ad oggi tre settori importanti: uno è quello delle comunicazioni satellitari, un altro è quello dell’osservazione della Terra con le iniziative nell’ambito di Copernicus, e infine abbiamo l’area dell’esplorazione e dell’in-orbit-services. Tutte queste esigenze si incontrano in questo grande mercato che è la new space economy, che è senza dubbio da sostenere e da portare avanti». Tornando alla Luna, è proprio questa nuova economia dello spazio a rendere possibile un programma di esplorazione del nostro satellite di così ampio respiro che coinvolga l’intera filiera industriale. Nell’ambito delle negoziazioni in corso per Artemis, l’unica azienda non americana tra le cordate selezionate dalla Nasa al momento è l’italiana Thales Alenia Space. «Noi siamo gli unici europei, in team con Dynetics, a partecipare allo sviluppo dello human landing system, ovvero la navetta concepita come spola tra il Gateway e la Luna - commenta Massimo Comparini, Amministratore Delegato di Thales Alenia Space. Stiamo poi immaginando, anche alla luce del bilaterale tra Italia e Stati Uniti - Nasa e Agenzia Spaziale Italiana - come utilizzare queste tecnologie per un primo ambiente pressurizzato sulla Luna, il cosiddetto lunar shelter, che speriamo possa essere un nucleo iniziale di un moon village». Mentre si guarda alle future colonie lunari permanenti sulla Luna, l’Italia sta già firmando i primi contratti per la fornitura di moduli abitativi per l’equipaggio sul Lunar Gateway. «Il contributo dell’Esa - continua Comparini - attraverso il contributo degli stati membri e quindi chiaramente dell’Asi, ad oggi ha trovato la sua espressione nell’International Habitat. Noi siamo partiti poche settimane fa, e l’obiettivo è lanciare il modulo per il 2026. Analogamente, siamo stati contrattati dalla Northrop Grumman per la struttura primaria dell’Halo, l’altro modulo logistico del Gateway. Sia l’iHub (l’International Habitat) sia l’Halo vedono l’evoluzione di tutte le tecnologie che abbiamo sviluppato negli scorsi due decenni per la Stazione Spaziale Internazionale. È un ruolo particolarmente rilevante, che vede noi capofila ma che comprende anche un nutrito gruppo di piccole e medie imprese che tradizionalmente hanno sempre collaborato con noi. Quindi in realtà noi siamo portabandiera di una filiera nutrita e tecnologicamente importante. Ma la rilevanza più grande, almeno per quanto mi riguarda - perché alcune evoluzioni le ho seguite anche nella precedente vita in Tas come direttore tecnico - è il fatto che questa filiera tecnologica è evoluta negli anni. Quindi oggi è a un livello tecnologico più elevato. Inoltre ci sono stati anche nuovi innesti: ad esempio, abbiamo utilizzato tecnologie per cinture di sicurezza usate in Formula 1 e le abbiamo portate per uno stivaggio molto più efficiente e sicuro a bordo della stazione spaziale. Oppure, negli studi abilitanti che stiamo facendo sotto la guida dell’Agenzia Spaziale Italiana, per la prima volta abbiamo inserito uno studio di design, che ci deve aiutare a capire l’ergonomia e l’abitabilità all’interno dei moduli. Quindi ritengo importante il ruolo della filiera non solo per il contributo tecnologico che apporta, ma anche perché è qualcosa nato negli anni e che proseguirà negli anni». Le tecnologie che vedremo all’opera sul Gateway saranno il punto di passaggio tra la grande esperienza della Stazione Spaziale Internazionale e la futura esplorazione del suolo lunare. E dopo aver celebrato i 20 anni di operatività, sarà la stessa Iss a fornire nuove opportunità per l’industria. «C’è un’evoluzione molto interessante, - conclude Comparini - che è quella del filone commerciale. Noi siamo partiti con Axiom, un partner statunitense, per lo sviluppo dei primi due moduli della stazione spaziale commerciale. Questa stazione dovrebbe essere inizialmente agganciata alla Stazione Spaziale Internazionale, e poi dopo l’uscita operativa della Iss proseguire una sua vita propria sostenuta solo dai servizi che si ipotizza possa generare. Ovvero applicazioni commerciali, ad esempio lo studio e la fabbricazione di nuove molecole in ambito farmacologico, oppure la costruzione di nuovi materiali. Tutto questo per dare un’idea di come, a partire dal supporto puramente istituzionale, ci si sta spostando anche verso un utilizzo commerciale dell’esplorazione, che fino a pochi anni fa poteva apparire una frontiera più lontana».